13-24, cm 100×80, olio su tela

SALVATORE SACCÀ

Saccà ci immerge in un paesaggio boschivo denso, stratificato, come se il tempo stesso si fosse posato sulla tela sotto forma di materia pittorica. L’olio si fa corpo, crosta, carne viva. L’artista non si limita a rappresentare una veduta, ma scava nella sua interiorità per restituirci un ambiente che è insieme scenario naturale e metafora esistenziale. Ogni pennellata graffia e costruisce, ogni impasto di colore è una ferita che lentamente si cicatrizza sotto la luce che, timida, filtra tra i tronchi cupi.
Saccà si muove nei territori dell’inconscio, percorre “boschi della memoria” alla ricerca non tanto di risposte, quanto di verità emozionali, intime, ineluttabili. Il bosco non è solo luogo fisico, ma è il labirinto interiore di un artista che ha fatto della pittura il suo linguaggio di salvezza. La luce diventa simbolo: essa non domina, non trionfa, ma suggerisce. È una speranza che si insinua tra le pieghe dell’ombra, mai totalmente conquistata, mai totalmente perduta.
Il suo è un “pellegrinaggio stilistico”, come giustamente lo si potrebbe definire: incerto, contraddittorio, ma per questo autentico. L’artista non teme di smarrirsi, perché è proprio nel dubbio, nella frammentazione, nella tensione tra opposti che ritrova la forza di creare. C’è una malinconia sottile che attraversa la composizione, ma anche una capacità rara di trasformare la sofferenza in bellezza. La materia pittorica, densa e vibrante, è il mezzo con cui Saccà traduce emozioni complesse, spesso indicibili. La biografia dell’artista — medico pediatra, viaggiatore, uomo di scienza e d’arte — contribuisce a comprendere meglio la stratificazione del suo linguaggio visivo. È come se, con la stessa cura con cui tocca il corpo fragile dei bambini, egli sapesse toccare le corde dell’anima umana. La sua pittura non è mai fredda, mai distante. È empatica, coinvolgente, umana.
Totò — come lo chiamiamo noi amici — si inserisce con coerenza e forza nel solco di una pittura che va oltre l’estetica, facendosi portatrice autentica di senso. Il suo è un sentiero oscuro, certo, ma profondamente intriso di verità. E in fondo al bosco, sempre, un barlume di luce.
In his forest landscapes, Saccà transforms oil paint into living matter—dense, crusted, almost flesh-like—so that the canvas becomes both natural scenery and existential metaphor. Each stroke scratches and heals, each layer of color a wound slowly closing under fragile light filtering through dark trunks. The forest is not merely a place, but an inner labyrinth, a “wood of memory” where the artist searches not for answers but for emotional truths. A pediatrician, traveler, and man of science as well as art, Saccà brings to painting the same empathy with which he touches human fragility. His work is marked by melancholy yet also by resilience: an authentic stylistic pilgrimage where doubt and fragmentation generate beauty. In these canvases, light never dominates but gently suggests—a quiet hope glimmering at the edge of shadow.