
Sarebbe un peccato non avere vizi, cm 60×110, acrilico su tela
VINCENZO PINTO
Pinto ci conduce all’interno di un universo visionario e provocatorio, dove eros, denaro, potere, desiderio e paura si intrecciano in una sinfonia visiva carica di ambiguità simbolica e tensione onirica. Il titolo, ironico e affilato, rovescia il concetto di morale tradizionale, suggerendo che la rinuncia al vizio – inteso qui come pulsione, istinto vitale, liberazione del sé – possa diventare essa stessa una forma di colpa. L’artista campano, da sempre attento alle suggestioni del surrealismo e della pittura metafisica, compone questa tela come un palcoscenico dell’inconscio, in cui ogni figura è metafora, ogni dettaglio un elemento da decifrare. Il rosso del drappo dominante è il colore del desiderio e del pericolo, della carne e del peccato. Attorno a esso si dispiegano corpi nudi, sfere verdastre, scale prospettiche impossibili, bocche urlanti, mani che afferrano e si aprono, serpenti e denaro: un teatro dell’anima in cui l’essere umano è intrappolato nel proprio labirinto interiore. L’eros, mai compiaciuto, viene rappresentato come tensione, non come soddisfazione. Le pose dei corpi evocano una danza della vulnerabilità, tra abbandono e controllo, tra bisogno e frustrazione. Il volto in basso, scavato da rughe e inquietudine, osserva lo spettatore quasi a interrogarlo, mentre la mano che tiene un telefono evoca l’alienazione contemporanea, la solitudine amplificata dall’illusione della connessione. Pinto non offre risposte: allude, insinua, costruisce scenari mentali dove sogno e realtà si compenetrano. Il suo linguaggio visivo – potente, cesellato, profondamente pittorico – attinge alla lezione dei grandi maestri della visione interiore, ma la rinnova con una sensibilità attuale, dove il dramma dell’uomo moderno si carica di nuove simbologie. La composizione, ricca e labirintica, rivela una mano esperta nel bilanciare il dettaglio tecnico con l’intenzione narrativa. In questa tela, Vincenzo Pinto afferma la sua cifra più autentica: quella di un artista che trasforma il mistero in pittura, l’inquietudine in bellezza, l’invisibile in visibile. Sarebbe un peccato non avere vizi è un’opera che non si limita a raccontare il sogno: lo rende materia viva, corpo pulsante, immagine che interroga. Un’opera che, come tutta la sua produzione, ci ricorda che l’arte, quando è vera, non consola: sveglia.
In Sarebbe un peccato non avere vizi, Vincenzo Pinto stages a visionary and provocative universe where eros, power, money, fear, and desire intertwine in a dreamlike yet unsettling symphony. The ironic title overturns traditional morality, suggesting that the renunciation of vice may itself become a fault. Dominated by a red drape—the color of flesh, danger, and temptation—the canvas unfolds as a surreal theatre of the unconscious: naked bodies, impossible staircases, serpents, money, and anguished faces compose a labyrinth of vulnerability and alienation. Drawing on surrealist and metaphysical traditions, Pinto transforms mystery into painting and unease into beauty, crafting a language that is both technically precise and symbolically charged. Sarebbe un peccato non avere vizi is not consolation but awakening: a work that turns the invisible into a pulsating image that questions the viewer.